La silvopastorizia è una pratica che risale a secoli fa, ma che oggi torna di grande attualità grazie ai suoi benefici ambientali e socio-economici. Consiste nell’utilizzo combinato di aree boschive per il pascolo degli animali, in modo da mantenere un equilibrio tra produzione agricola e conservazione forestale.
Le radici della silvopastorizia sono antiche: già in epoca medievale, i boschi italiani erano utilizzati per l’allevamento di capre, pecore e bovini, garantendo un duplice vantaggio. Da un lato si sfruttavano i pascoli naturali, dall’altro si mantenevano le aree boschive pulite, riducendo l’accumulo di biomassa secca che poteva alimentare incendi.
La silvopastorizia è un’antica pratica che unisce l’allevamento e la gestione boschiva.
Gli animali pascolano nei boschi riducendo il rischio di incendi e migliorando il suolo.
Questa sinergia preserva il paesaggio e sostiene economie locali e biodiversità
Oggi, questa pratica è stata rivalutata come strumento di gestione forestale sostenibile. Il pascolamento controllato riduce la crescita di arbusti e piante invasive, favorendo le specie autoctone e migliorando la qualità del suolo. Gli animali, muovendosi nel bosco, contribuiscono a disperdere semi e a fertilizzare naturalmente il terreno, creando un ambiente più favorevole per la rigenerazione della vegetazione.
La silvopastorizia offre anche un contributo economico, consentendo agli allevatori di ridurre i costi di alimentazione e di produrre carni e latticini di alta qualità, grazie a un’alimentazione naturale e variegata. Inoltre, mantiene viva una tradizione secolare, legata alla cultura rurale e al paesaggio italiano.
Progetti moderni di silvopastorizia vengono spesso integrati con piani di gestione forestale, creando un circolo virtuoso tra conservazione ambientale, economia locale e turismo verde.